Particolare di "Donna con Gallo" di Massimo Stanzione
Tratto dal libro "Atella e i suoi Casali"
Pio Crispino -Giuseppe Petrocelli - Andrea Russo
Ed. Archeoclub d'Italia
Il primo
documento conosciuto che riporta il nome di Orta (Ortula)
è costituito dall'elenco dei fuochi redatto dal
Giustiziere di Terra di Lavoro nel 1267 sotto Carlo I
d'Angiò, re di Napoli, e riportato sui registri
angioini. In esso sono specificati il numero delle famiglie
che vi abitavano (Fuochi) e le somme per le quali erano
tassati:
Ortula, f. XLVIIII; unc. XII, Tar. VII et med. Sembra
così confermata l'ipotesi da me fatta in "Andes
ed Atella insieme per Virgilio" che l'origine del
toponimo e il suo significato sono da ricollegare etimologicamente
al termine latino hortus (orto) da cui hortulus, ortula
(piccolo orto), secondo i Romani «terreno coltivato
e buono per antonomasia», quasi in contrapposizione
al «subsecivus ager» (ritaglio di terreno
non coltivabile) da cui Succivo, i cui abitanti chiamano
ancora oggi quelli di Orta ortolani e non ortesi. Nel
1278, sotto Carlo I d'Angiò, Orta fu feudo di Guglielmo
de La Gonesse, ammiraglio di Francia e del Regno di Napoli,
viceré della Provenza. Qualche anno dopo passò
a Gabriello del Balzo, figlio del più famoso Ramondello
Del Balzo, i cui prossimi parenti, i Des Baux, avevano
seguito re Carlo dalla lontana Francia. Nel 1335 il Casale
risulta appartenere ad Angela Stendardo, figlia di Guglielmo,
che, proprio in quell'anno, lo portò in dote a
Giovanni Cantelmo cui andò sposa. Sotto il regno
di Giovanna f1, (che governò Napoli tra il 1414
e il 1435) ne fu signore Ottino Caracciolo. Dal 1519 di
certo fu feudo della famiglia Pignatelli; nel 1544 ne
divenne proprietario Luigi Pignatelli alla morte del padre.
Luigi, che tra l'altro era nipote del viceré di
Sicilia, Ettore Pignatelli, ne possedeva però,
solo una parte. Nel 1556, poiché qualche anno prima
a Napoli, ad una ribellione contro il re aveva partecipato
anche Vespasiano Pignatelli, la Colle napoletana confiscò
alla famiglia anche parte del Casale di Orta, loro fendo
e proprietà.
In quello stesso 1556,
quella parte confiscata fu comprata (dalla Regia Camera
della Sommaria) da un certo Camillo De Tocco che l'avrebbe
girato subito dopo ai Caracciolo per 3000 ducati.
Una lapide, proveniente dal giardino dell'ex palazzo ducale,
datata 1625, con uno stemma in cui sono disegnate onde
marine (con ascendenze alla famiglia Caetani?) e la scritta
«pro mulieribus De Tocco», ci sembra, però,
confermare, almeno fino a quell'anno, l'appartenenza del
feudo di Orta ai De Tocco.
Sarà probabilmente
dopo il 1626 che questa famiglia lo venderà ad
una Maria Caracciolo dei duchi di Girifalco. I De Tocco,
comunque, dovettero conservare ancora delle proprietà
in Orta se, come riferisce P. Teofilo Testa (che nella
seconda metà del `600 scrisse «I Serafica
Fragmenti della provincia monastica francescana di Napoli»),
nel 1643 un don Selvaggio Tuocco (De Tocco), citato ora
come prete ora come abate, offrì ai francescani
di Santa Maria La Nova, in Napoli, una vecchia chiesetta
in rovina, un piccolo convento diroccato e terreni perché
vi costruissero un nuovo monastero e una chiesa più
grande. Una lapide che ancor oggi si può leggere
nella cappella del Rosario, in ambito parrocchiale, ci
dà notizia della sepoltura in quel luogo, nel 1669,
di un don Francesco Maria Caracciolo, duca di Orta, e
3° marchese di Gioiosa. La popolazione del Casale
che viveva esclusivamente di lavoro agricolo, producendo
grano, granone, canapa e vino asprino (con viti maritate
ai pioppi, a festoni, all'usanza etrusca) cominciava,
intanto, a prendere più coscienza della necessità
di ottenere maggiori diritti e libertà. Nel 1648
Orta raggiungeva il numero di 400 abitanti e in quell'anno
avviò un primo processo di liberazione dai Caracciolo.
Ma dovette passare quasi un secolo di altra dominazione
da parte di questa famiglia se ancora tra il 1745 e il
1747 l'Università degli abitanti di Orta dette
vita ad aspre liti giudiziarie contro un Caracciolo, duca
di Girifalco. Nel 1796 Orta contava 1718 abitanti e il
feudo era nelle mani di D. Margherita Caracciolo Valle
Piccolomini.
Caduta la feudalità con le leggi napoleoniche,
casali e feudi si avviarono all'autogoverno e così
fu per Orta che continuerà, però, a chiamarsi
Castello di Orta. Solo dopo l'unità d'Italia dal
1862, a seguito della nuova legislazione statale e sulla
organizzazione delle Province e dei Comuni, cambierà
nome e stemma e avrà un territorio vasto di poco
più piccolo dell'attuale. Così con D.R.
n° 1078 del
14-12-1862, «Castello di Orta» prese l'attuale
denominazione di «Orta di Atella».
Il gonfalone, riprendendo più tardi i simboli dello
stemma comunale, conserva a ricordo del toponimo Castello
di Orta iena torre merlata e la scritta sottostante «Università
di Orta». Nel 1928, con i comuni di Sant'Arpino
e Succivo, ha fatto parte, fino al 1946, del comune di
Atella di Napoli, il cui municipio fu costruito nell'area
urbana dell'antica Atella e dove da 45 anni è abbandonato.
I registri d'anagrafe e stato civile, invece, sono custoditi
nell'archivio corrente del comune di Orta di Atella.
I secoli XVII e XVIII portarono Orta nella storia della
pittura. Nomi di grossi artisti e di altri meno conosciuti,
alcuni nati proprio ad Orta, emergono spesso dagli scritti
e dalle tele conservate nelle chiese del paese.
Fino a venti anni fa, infatti si conservavano nella Chiesa
del convento due tele: una S. Agata e un S. Stefano protomartire
attribuiti a Massimo Stanzione, uno dei capiscuola della
pittura barocca del Seicento Napoletano, nato ad Orta
nel 1585 e morto a Napoli durante la peste del 1656. Fino
al gennaio del 1981 si conservavano pure nello stesso
convento di S. Donato: un «Sant'Antonio in preghiera,
con putti», di Luca Giordano, una «Tentazione
di S. Antonio abate», una «Madonna con Bambino
e i Santi Gregorio e Donato e le anime del Purgatorio»
di Francesco De Maria e una «Madonna con Bambino
e Santi» di Anonimo. Tutte tele del Seicento, sono
ora a Caserta per restauro presso la Soprintendenza ai
Beni Artistici. È rimasta nel convento una tela,
raffigurante S. Salvatore che miracola uno storpio, opera
del Settecento, forse del Malinconico. Nacquero ancora
ad Orta: Giuseppe Marullo, allievo dello Stanzione, nel
1615, morto a Napoli nel 1685 e Paolo Domenico Finoglia,
nato nel 1590, che ha lasciato opere a S. Martino in Napoli
e a Conversano, dove morì nel 1645.
Un altro pittore, oggi dimenticato, ma ai suoi tempi conosciuto
e stimato, ebbe i natali ad Orta: Tommaso De Vivo. Incerta
la data della nascita, nel 1787 secondo alcuni scritti,
nel 1790 secondo altri. Maestro di Cattedra all'Istituto
di Belle Arti di Napoli, operò a Napoli e a Roma
lasciando una copiosa produzione non solo nelle grandi
città: Roma, Napoli, Caserta e Terracina ma anche
a Succivo, Orta di Atella e Grumo Nevano.